titolo

Informazioni importanti
Notizie e novità
seguici su:
Documentazione

mudita yoga

Scarica il libretto dello Yoga per la meditazione


Associazione Centro Yoga Anahata
Via Scalabrini 19/21 (Ospizi Civili), 29122 Piacenza
http://www.centroanahata.org ............e-mail: info@centroanahata.org
contatti: .339 270 9918 (cell. Silvia) - 0523 336715 (segr. tel.)
 affiliata CSEN

Appunti sulla società e cultura indiana

1 - dalle origini al sorgere del buddhismo (3000 a.c. - 500 a.c. circa)

Premessa
Iniziando questa breve digressione sull'affascinante cultura hindu, è necessario chiarire il concetto di "storia". La nostra cultura è stata fortemente condizionata dal pensiero greco. Noi riteniamo di avere una sola vita a disposizione, una meteora nel flusso ininterrotto del tempo. Da qui sc

aturisce la necessità ossessiva di registrare, dare una paternità ai pensieri o alle gesta, unico mezzo per il singolo individuo di garantirsi un'effimera immortalità. La visione hindu è molto diversa: ogni essere vivente ritorna sulla terra un numero incalcolabile di volte, in una catena (samsara) che lo lega all'esistenza. L'importante è trovare una via per affrancarsi da questa schiavitù. Il mondo materiale non è da migliorare, ma da trascendere. Alla luce di questa visione, nessun pensiero, opera o gesta è unica: è già avvenuta migliaia di volte; l'azione individuale perde di importanza. Pertanto solo da poco tempo una "coscienza storica" è penetrata in India. Quando si parla di avvenimenti remoti, come quelli che tratteremo, la datazione è estremamente incerta. Il saggio Patanjali, colui che codificò lo yoga in modo sistematico, è collocato in un arco di tempo che va dal V secolo a.c. al V d.c.! Un altro effetto di questa visione è estremamente affascinante: l'India è calata in un eterno presente. I miti più antichi, come quelli narrati nel Mahabharata o nel Ramayana (poemi epici classici), appaiono agli indiani contemporanei reali e attuali come gli avvenimenti accaduti il giorno prima...

Gli Arya
Circa 5000 anni fa vi furono delle misteriose migrazioni, che probabilmente iniziando dalle sterminate steppe dell'Asia centrale si espansero in varie direzioni, verso il Danubio, il nord Europa, giunsero a sud-est verso le rive del Gange. Ne erano protagoniste alcune tribù nomadi che avevano in comune oltre la lingua anche le stesse strutture sociali, economiche, religiose e chiamavano sé stessi "Arya", i nobili congiunti. Questi spostamenti, più che da testimonianze storiche sono dovute alle ricostruzioni dei glottologi, i quali riscontrarono parole di origine comune sia nelle lingue europee che in quelle indiane e chiamarono questi nostri lontanissimi progenitori indo-ariani.
I popoli arya erano allevatori e si spostavano a piedi, a cavallo o su carri trasportando con sé il loro tesoro: il bestiame. Attraverso gli alti valichi dell'Afghanistan si riversarono nella fiorente valle dell'Indo (attualmente in Pakistan) ed in breve tempo decretarono la fine della millenaria civiltà che ivi fioriva. Gli abitanti della valle dell'Indo praticavano scambi e commerci con fenici, assiri, babilonesi, ed avevano sviluppato una scrittura che rimane tuttora misteriosa. Negli scavi archeologici di Harappa e Moenjo Daro, le città principali di questo regno, furono rinvenute le prime testimonianze di una pratica psico-fisica affine allo yoga: alcune formelle con un immagine di un proto-Shiva in posizione del loto. Ma queste città nascondono altre peculiarità: un impianto urbanistico unico e perfetto. Contrariamente a quanto avviene normalmente negli scavi, in cui in strati più profondi del terreno si ritrovano fondamenta sempre più antiche su cui sono stati edificate costruzioni più recenti con piante diverse, in Harappa e Moenjo Daro il piano delle costruzioni non è mai stato modificato fin dalle sue lontane origini: ogni edificio veniva ricostruito sempre identico; mai una via o una piazza venne cambiata: le guide mostrano le fondamenta di palazzi che per 2000 anni furono sempre identici... fino all'arrivo degli Arya.
Probabilmente la civiltà della valle dell'Indo si stava già avvicinando al tramonto, il deserto incalzava e quando gli abitanti non contrastarono più la sua avanzata, esso prese lentamente ad avanzare. Le orde degli arya avevano inoltre due efficaci strumenti di guerra ignoti ai vallindi: i cavalli e armi di ferro. In pochi anni questa civiltà venne sopraffatta e le splendide città di mattoni cotti al sole rase al suolo. Gli arya continuarono la loro avanzata, tra roccia e deserti, fino a giungere tra il 2500 e il 1550 a.c. lungo le fertili rive del Gange. Lì iniziarono un lento processo di sedentarizzazione e affiancarono alle loro occupazioni tradizionali pastorizia e caccia anche l'agricoltura. I vari clan cominciarono ad entrare in lotta tra di loro per il predominio. Di questo antico periodo purtroppo non restano palazzi o monumenti, perché gli arya costruivano le loro città in legno, la cui durata è effimera.

Le credenze religiose
Essi credevano nelle forze cosmiche, nelle loro manifestazioni più evidenti nella natura, come in quelle più sottili nel mondo immanifesto. I loro dei principali erano Ushas, fanciulla rosata dell'alba; Agni, il rosso fuoco;Varuna, il dio del vento; Surya, il disco splendente del sole trainato su un cocchio dorato da cavalli bianchi; Indra, il tempestoso re degli dei. Essi divennero il nucleo di quella che sarà la religione Vedica. Una complessa liturgia incentrata sul sacrificio regolava l'interagire delle forze, in una sorta di iconografia cosmica dove il sacerdote era il sommo regista. Agli dei venivano versate nel fuoco offerte gradite, e la mucca, grande ricchezza del popolo nomade, era l'elemento indispensabile per il rito, sia perché all'inizio veniva immolata essa stessa in modo cruento, poi in tempi successivi si usarono oblazioni di latte, burro, sterco e cibi a base dei prodotti della mucca. Essa era anche data in pagamento al sacerdote al termine del rito.
Gli Arya ritenevano che ci fosse una sostanziale corrispondenza fra microcosmo (uomo) e macrocosmo (universo) e il sacrificio aveva il compito di mantenere la delicata armonia tra queste componenti. Centrale è la legge del dharma, l'ordine universale, in cui ogni entità, dal più piccolo essere vivente alle stelle agli stessi dei hanno una precisa collocazione nell'universo manifesto. Vi era una sostanziale positività e certezza, e i committenti dei riti chiedevano potere, ricchezza, bestiame, figli e lunga vita. I bramani erano il vaso comunicante tra gli uomini e gli dei. Solo essi potevano compiere i sacrifici, intonare i canti in sanscrito, la lingua sacra o compiere i gesti liturgici.
Oscura è l'origine della teoria della reincarnazione. Forse essa è dovuta all'osservazione della ciclicità della natura, in cui il ripetersi delle stagioni, del giorno e della notte, della veglia e del sonno (spesso paragonato alla morte), suggerivano una nuova nascita. Anche l'inconscia paura del futuro, l'impossibilità di spiegarsi la crudeltà della vita, la fragilità del destino umano contribuirono a maturare questa visione. Probabilmente confluirono in questa nuova dottrina le credenze religiose autoctone e animiste, con elementi pre-arya o an-arya, che spiegavano come nell'uomo il desiderio produca il karman, l'agire che porta frutto e la somma delle azioni passate che segnano il destino della vita futura.
La sedentarizzazione creò probabilmente una profonda frattura inconscia nelle popolazioni che fino ad allora erano nomadi o semi-nomadi, e le certezze del periodo vedico nell'efficacia del sacrificio si stemperarono in visioni disperanti e pessimistiche; alla richiesta di beni materiali si sostituì la ricerca della libertà dal samsara, la catena delle rinascite. I riti diventarono sempre più fastosi e cruenti, il potere dei bramani aumentò smisuratamente, e la liturgia finì per trasformarsi in vuoto ripetersi di gesti rituali. Il contrasto con la semplice religiosità popolare e indigena era stridente, come pure la distanza tra le caste dominanti e quelle inferiori.
Il VI secolo a.c. fu senz'altro cruciale in questo mutamento di orizzonte, ben al di fuori dei confini dell'India. Nacquero grandi spiriti, quali Buddha e Mahavira in India, Pitagora e Talete in Grecia, il profeta Ezechiele in Palestina, Zoroastro in Persia, Lao-tze e Confucio in Cina.
Spiriti acuti e inquieti, asceti, mendicanti affollarono le strade e le foreste del subcontinente indiano, ricercando nel silenzio e nella rinuncia le risposte alle domande più angoscianti sul fine ultimo dell'uomo. Probabilmente fu proprio la condotta non-violenta degli asceti, i quali avevano un enorme ascendente sulla popolazione, a provocare un mutamento nella condotta dei bramani. Infatti essi fecero propria la dieta vegetariana e vi fu un profondo mutamento nei riti che da crudeli sacrifici di animali divennero non violenti e simbolici.
Radicale fu anche il mutamento del rapporto con le divinità. Fino ad allora solo i sacerdoti ne erano i mediatori; ora gli asceti rivendicarono un rapporto diretto tra atman (anima individuale) e brahman (l'assoluto senza attributi), fino alla completa identificazione nel brahman stesso, l'estinzione nell'unità che pone fine alla dolorosa serie delle rinascite, sintetizzato nel mantra tat tvam asi, "tu sei quello".
Erano state gettate le base per una nuova spiritualità, al sorgere del Buddismo, della religione Jaina, ad opera del Mahavira e più avanti nell'evoluzione della religione vedica in quello che oggi, con un termine un po' semplicistico, chiamiamo induismo.

Le caste
Il termine "casta" deriva dal latino castus, puro. Esso sintetizza in modo efficace ciò che la casta ha rappresentato e tuttora rappresenta in India. Il termine sanscrito è varna (colore), forse perché le popolazioni arya erano di carnagione chiara, in contrasto con quelle autoctone, scure di pelle o jati, nascita. Probabilmente furono gli invasori a introdurre le caste in India in cui essi, guerrieri e sacerdoti, si posero al vertice, mentre le popolazioni indigene divennero gli strati inferiori. Ma forse anche l'ancestrale civiltà contadina pre-arya ben si adattava a questa struttura. Un inno del Rg Veda, databile circa nel 1500 a.c., indicava che dallo smembramento dell'uomo cosmico, Purusha, erano sorte le caste: dalla bocca i bramani, dalle braccia i guerrieri, dalle cosce artigiani e agricoltori e dai piedi i servi. Al livello zero della scala gerarchica vi sono i fuoricasta, o intoccabili per nascita o perché decaduti a causa di aberrazioni rituali o per matrimoni misti, (chiamati paria dai portoghesi, dal nome di una delle loro corporazioni), e harijan. "figli di Dio"da Gandhi, che si battè strenuamente per la loro abolizione. Le quattro caste classiche esistono solo a livello ideale; in quello pratico ben presto si frammentarono in sottocaste e diramazioni territoriali che assunsero rapidamente un valore ben maggiore della casta stessa. Sembra che le sotto-caste siano circa tremila.
Probabilmente all'inizio l'appartenere ad una determinata casta dipendeva dalle proprie attitudini personali, ma con il passare del tempo esse si sclerotizzarono in una struttura rigida, esclusivamente legata alla nascita. Le caste, pur nelle aberrazioni che ne derivarono, si adattavano perfettamente a due concezioni cardine del pensiero indiano: il dharma e la purezza. Il dharma o ordine universale si manifesta nella civiltà umana con l'armonia delle varie funzioni e con la certezza della propria collocazione nel contesto umano dovuto alla nascita ed alla professione svolta.
La purezza è il vero centro nodale e la giustificazione dell'esistenza delle caste stesse e l'ossessione del l'hindu ortodosso. L'impurità è dovuta particolarmente ad alcune professioni, quelle che portano in contatto con secrezioni fisiologiche (lavandai, spazzini, pulitori di latrine, barbieri, ecc), con la nascita e con la morte (levatrici , becchini), con animali morti e particolarmente con le vacche morte. Tutte queste professioni impure possono essere svolte solo da fuoricasta, che quindi sono indispensabili per mantenere la purezza delle caste superiori. Infatti come potrebbe mantenere la sua purezza un bramano se dovesse lavarsi gli abiti, spazzare le strade, spostare carogne di animali? In effetti la vita del bramano e regolata da tali e gravose regole relative alla purezza da porlo in una posizione di estrema fragilità.
La vacca è il simbolo della dicotomia tra puro/impuro. Patrimonio del nomade, è fonte di vita insostituibile per i suoi prodotti: il latte, il burro indispensabile per le cerimonie e l'alimentazione, lo sterco (principale fonte di combustibile), vennero considerati sacri e oggetto principale del sacrificio, fino a venire indissolubilmente legati al bramano stesso. L'uccisione di una mucca era un crimine incancellabile, pari all'uccisione di un bramano. Ecco quindi l'orrore per professioni come il macellaio o il costruttore di tamburi, che viene in contatto con la morte della vacca.
La professione non è quindi una libera scelta, ma retaggio del proprio gruppo di appartenenza. Questa rigida suddivisione aveva portato ad una altissima specializzazione, paragonabile a quella raggiunta dalle nostre corporazioni medioevali. La cellula fondamentale della società hindu è il villaggio, che per motivi geografici e climatici deve essere autonomo. In esso c'è una jati dominante, che non corrisponde necessariamente con la più elevata dal punto della purezza. Essa esercita il potere sulla terra e le altre ne sono in rapporto clientelare: ricevono pagamento per il loro lavoro specializzato non in denaro ma con frutti della terra o il suo usufrutto: in questo traggono la loro assicurazione e il cerchio si chiude.
Anche le regole endogamiche e alimentari sono molto rigide. I matrimoni (specialmente il primo, nel caso di poligamia, ammessa fino a pochi decenni fa), devono essere tra membri della stessa casta. Questo perché la prima moglie assiste lo sposo nei riti; quelli successivi, possono essere un poco meno rigidi, ma una donna non può mai sposare un uomo di casta inferiore, pena il decadere suo e dei suoi figli a fuoricasta. Per assicurare alle figlie un matrimonio vantaggioso (dal punto di vista castale) a volte vengono pagate doti altissime.
L'assunzione di cibo è una altra possibile fonte di polluzione: il cibo crudo è puro, mentre quello cucinato, entrando in contatto con l'uomo può venire contaminato. Pertanto quando l'hindu ortodosso mangia fuori della sua ristretta cerchia familiare, per matrimoni, banchetti, ecc., ha bisogno di alte garanzie: il cuoco deve essere un brahmano, il cibo cotto nel ghi (burro purificato) e purificato attraverso altre pratiche. Pure l'assunzione dell'acqua non è esente da rischi: può essere accettata solo se offerta da un membro della stessa casta o superiore.
La casta è esclusiva per quel che riguarda la nascita o la professione, ma estremamente tollerante rispetto alla religione, sempre che non contrasti con le regole interne, al contrario della setta religiosa, tollerante sulle origini dell'individuo ma assolutamente esclusiva per il credo religioso.
Il rapporto tra sacralità e potere è sempre stato molto forte: il bramano è il detentore del sacro, ma proprio a causa di ciò, gli sono precluse molte professioni; mentre i guerrieri detengono il potere temporale e l'usufrutto della terra. Essi mangiano carne, fanno uso della violenza, ma attraverso pratiche di purificazione e continue donazioni ai brahamni riscattano le loro azioni. Il bramano unge il re, lo consiglia; il re protegge e sostiene i brahmani. L'equilibrio fra sacro e potere è così raggiunto.
Le caste appaiono statiche ed immutabili, ma membri di classi inferiori assumono atteggiamenti ed abitudini di quelle superiori, sperando così in un avanzamento nella piramide, mentre i fuoricasta premono per accedere anche loro ad un minimo riconoscimento, in un lento ed inarrestabile movimento interno. Sebbene virtualmente cancellate con l'indipendenza dell'India, le caste hanno ancora una fortissima valenza, specialmente nelle campagne e nei villaggi.

 

Piccola biblioteca:
· - Siddharta, Herman Hesse, ed. Adelphi (romanzo)
· - Lo yoga, Marilia Albanese, ed. Xenia (saggio)
· - La mia India, Folco Quilici, ed. Mondatori (memorie di viaggio)
· - Homo hierarchicus, il sistema delle caste e le sue implicazioni, L.Dumont, ed. Adelphi (saggio)
· - L'Induismo, Pio Filippo Ronconi, ed. Tascabili Newton (saggio)