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Centro Yoga Anahata
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Sri Aurobindo è stato un grande maestro indiano contemporaneo, che fondò l'ashram di Pondicerry, nato a Calcutta nel 1872 e morto a Podicerry (India) nel 1950. Puoi trovare ulteriori informazioni su di lui all'indirizzo https://it.wikipedia.org/Sri_Aurobindo
Le
Upanishad sono l'opera suprema del pensiero indiano, e che sia
effettivamente così, che l'altissima espressione della personalità
del proprio genio la loro sublime capacità poetica, la loro enorme
capacità creativa in pensiero e in parola, non siano un capolavoro
letterario o poetico della mente ordinaria, ma un ampio flusso di
rivelazione spirituale per questo carattere profondo e diretto, è
un fatto significativo, prova di una mentalità unica e di non
comune inclinazione dello spirito.
Le Upanishad sono nello stesso tempo profonda scrittura religiosa,
in quanto testimonianza delle più assolute esperienze spirituali,
documenti di una filosofia rivelatrice e intuitiva di luce, potere
e ampiezza inesauribili e, sia in prosa che in metrica, poemi
spirituali di una assoluta, infallibile ispirazione costante nel
linguaggio, straordinaria per ritmo ed espressione.
E' la manifestazione di una mente nella quale filosofia e
religione e poesia sono diventate una cosa sola, perché questa
religione non termina in un culto ne è limitata ad un aspirazione
di tipo etico-religioso, ma si innalza verso una scoperta infinita
di Dio, del Sé, della nostra più alta e totale realtà spirituale e
di esseri viventi e descrive un'estasi di luminosa
conoscenza e un'estasi di partecipe compiuta esperienza; questa
filosofia non è un'astratta speculazione intellettuale intorno
alla Verità o una delle strutture dell'intelligenza logica, ma una
verità vista, esperita, vissuta, posseduta dalla mente e
dall'anima più profonda nella gioia di esprimere una sicura
scoperta di possesso, e questa poesia è opera di una concezione
estetica innalzata oltre l'ambito ordinario per esprimere la
meraviglia e la bellezza della più rara autocoscienza spirituale e
della più profonda, ispirata Verità del Sé e di Dio e
dell'Universo.
Qui lo spirito intuitivo e l'intima esperienza psicologica dei
veggenti vedici perviene ad un culmine supremo in cui lo Spirito,
come è detto in un passaggio della Katha Upanishad, svela la sua
più vera essenza, rivela la parola esatta della sua auto
espressione e apre alla mente la vibrazione dei ritmi che,
ripetuti all'ascolto spirituale sembrano sostanziare l'anima e
porla, ricolma e compiuta, sulle sommità dell' autoconoscenza.
Le Upanishad sono state la sorgente riconosciuta di varie e
profonde filosofie e religioni che da esse sono poi scorse in
India come i suoi grandi fiumi dalla culla himalayana rendendo
fertili la mente e la vita degli uomini e hanno mantenuto viva la
sua anima lungo il grande procedere dei secoli ritornando
costantemente ad esse per la rivelazione, mai mancando di dare
nuova illuminazione, fontana di inesauribili acque di vita.
Il Buddismo con tutti i suoi sviluppi fu solo una riaffermazione,
sebbene da un nuovo punto di vista e con nuovi termini di
definizione di ragionamento intellettuale, di un aspetto di questa
esperienza e la portò così modificata nella forma, ma appena nella
sostanza, attraverso tutta l'Asia e a Occidente verso l'Europa.
Le idee contenute nelle Upanishad possono essere ritrovate in
molto nel pensiero di Pitagora e Platone e costituiscono la parte
più profonda del Neo-Platonismo e dello Gnosticismo con tutte le
loro importanti conseguenze sul pensiero filosofico occidentale, e
il Sufismo le ripete in un altro linguaggio religioso.
La parte più consistente della metafisica tedesca è in sostanza
poco più che uno sviluppo intellettuale e di grandi realtà meglio
spiritualmente comprese da questo antico sapere, e il pensiero
moderno le sta rapidamente assorbendo con una ricettività sempre
più essenziale, viva ed intensa che promette una rivoluzione tanto
nel pensiero, quanto in quello religioso; ora esse filtrano grazie
a varie influenze indirette, ora si esprimono in modi aperti e
diretti.
Quasi non esiste una grande idea filosofica che non possa trovare
forza o una nuova origine o indicazioni in queste antiche
scritture, le speculazioni, secondo un certo punto di vista, di
pensatori che non avevano migliore passato o migliore base
culturale al loro pensiero di una rozza primitiva, naturalistica
ed animistica ignoranza.
E persino le più ampie generalizzazioni della scienza si ritrovano
costantemente applicabili alla verità delle formule della natura
fisica già scoperta dai saggi indiani nel loro originale, nel loro
più vasto significato, nella più profonda verità dello spirito.
*
E
tuttavia queste opere non sono speculazioni filosofiche di genere
intellettuale, analisi di tipo metafisico che cercano di definire
nozioni, di selezionare idee e di distinguere quante tra di loro
sono vere, di logificare la verità o aiutare altrimenti la mente
nelle sue inclinazioni intellettuali per mezzo del ragionamento
dialettico e nel suo concetto di proporre una soluzione definitiva
dell'esistenza nella luce di questa o di quella idea della ragione
e di osservare tutte le cose da quel solo punto di vista, in quel
fuoco e in quella determinata prospettiva.
Le Upanishad non avrebbero potuto avere una vitalità così perenne,
esercitare una influenza così sicura, produrre tali risultati o
vedere oggi le loro asserzioni autonomamente confermate in altri
ambiti di ricerca e attraverso metodi completamente diversi, se
fossero state opere del genere.
E' perché questi veggenti videro la Verità piuttosto che
semplicemente pensarla, la rivestirono anzi di una forte sostanza
di intuizione e di immagine rivelatrice, ma una sostanza di
trasparenza ideale attraverso la quale noi guardiamo verso
l'illimitato, e perché esse compresero in profondità le cose nella
luce del Sé e le videro con la visione dell'infinito, che le loro
parole rimangono sempre vive e immortali, di un significato
inesauribile, di una immancabile autenticità, un fine convincente
che è nello stesso tempo infinito inizio della Verità, alle quali
tutte le nostre ricerche quando terminano di nuovo approdano e
alle quali l'umanità costantemente ritorna nelle sue menti e nelle
sue epoche di più profonda visione.
Le Upanishad sono il Vedanta, un libro di conoscenza ad un più
alto grado persino dei Veda, conoscenza nel più profondo senso
indiano del termine, Jnana.
Non un semplice pensare e considerare attraverso
l'intelligenza, non il ricercare e il cogliere una forma mentale
della verità con la mente razionale, ma un vederla nell'anima ed
un vivere totale in essa grazie al potere dell'essere interiore,
un possesso spirituale attravesro una sorta di identificazione con
l'oggetto della conoscenza è Jnana.
E poiché è solo attraverso una conoscenza integrale del Sé che
questo genere di conoscenza diretta può essere resa completa, fu
questo che i saggi vedantini cercarono di conoscere, di penetrare
e di vivere nell'identità.
E attraverso questo sforzo essi giunsero facilmente a comprendere
che il Sé in noi è una cosa sola con il Sé universale di tutte le
cose e ancora che questo Sé non è che Dio e il Brahman, un Essere
o una Esistenza trascendenti, ed essi videro, sentirono, vissero
nella più totale intima verità di tutte le cose dell'universo e
nella più intima verità dell'esistenza interiore ed esteriore
dell'uomo grazie alla luce di questa sola e unificante visione.
Le Upanishad sono inni della conoscenza del Sé dell'universo e di
Dio.
Le grandi formule di verità filosofiche di cui esse abbondano non
sono astratte generalizzazioni intellettuali, realtà che possono
rischiarare ed illuminare la mente ma che non vivono e non
spingono l'anima ad ascendere, ma sono ardori e luci di un
illuminazione intuitiva e rivelatrice, raggiungimento e
comprensione della sola Esistenza, della Divinità trascendente,
del divino e universale Sé, scoperta della sua ruvelazione con le
cose e le creature di questa grande manifestazione cosmica.
Canti di un ispirato sapere, essi emanano come tutti gli inni un
tono di aspirazione ed estasi religiose, non del genere
scarsamente profondo proprio a un sentimento religioso minore, ma
innalzato al di là del culto e di forme particolari di devozione,
verso l'universale Ananda del Divino che ci raggiunge
attraverso l'avvicinamento e l'identità con l'autocosciente
Spirito universale.
E sebbene principalmente concernenti la visione interiore e non
direttamente l'agire umano esteriore, tutte le più importanti
etiche del Buddismo e dell'Induismo posteriore sono tuttavia
ancora della stessa vita e del significato delle verità alle quali
essi danno forma espressiva e forza e tuttavia esiste qualcosa di
più grande di qualunque precetto etico e norma di virtù mentale,
l'ideale supremo di una azione spirituale fondata sull'identità
con Dio e con tutti gli esseri viventi.
Perciò anche quando sono morte le forme del culto vedico, le
Upanishad sono rimaste viventi e creative ed hanno potuto generare
le grandi religioni devozionali e sostenere la duratura concezione
indiana del Dharma.
*
Le
Upanishad sono la creazione di una mente rivelatrice e intuitiva e
della sua illimitata esperienza; la loro sostanza, la struttura,
l'espressione, il linguaggio figurato e le dinamiche sono
determinanti e contrassegnati da questo carattere originale.
Queste verità supreme e onnipervadenti visioni di unità, del Sé e
di un essere divino universale sono proiettate in frasi concise e
monumentali che le portano immediatamente di fronte alla visione
dell'anima e le rendono presenti e imperative per la sua
aspirazione e la sua esperienza e sono espresse in brani poetici
pieni di potere rivelatore e di una concezione suggestiva che
scopre l'intero infinito attraverso un'immagine finita.
L'Uno è la rivelato ma ha anche dischiuso i suoi
innumerevoli aspetti, e ciascuno guadagna pieno significato
attraverso l'ampiezza dell'espressione e trova, come in una
spontanea autoscoperta, il suo posto e la sua coordinazione
attraverso l'illuminante esattezza di ogni
parola e dell'intera frase.
Le più vaste verità metafisiche e le più sottili distinzioni
dell'esperienza psicologica sono raccolte all'interno del
movimento ispirato e rese immediatamente chiare per la mente che
osserva e colmate di infinite suggestioni per lo spirito che
conosce.
Esistono frasi particolari, singoli distici, brevi passaggi che
contengono in se stessi l'essenza di una vasta filosofia e
tuttavia ciascuno di essi viene pronunciato come un lato, un
aspetto, una parte dell'infinita autoconoscenza.
Tutto è di una concisione raccolta e ricca di idee e tuttavia
perfettamente lucida e luminosa, tutto di una infinita
compiutezza.
Un pensiero di questo genere non può seguire il lento, prudente e
prolisso sviluppo dell'intelligenza logica.
Il brano, la frase, il distico, il verso e persino il mezzo verso
segue quello che procede con un significato inespresso, un
silenzio che echeggia tra loro, un pensiero che viene trasmesso in
una suggestione totale ed è implicito alla cadenza stessa ma che
la mente è lasciata libera di elaborare a proprio vantaggio, e
questi intervalli di silenzio significante sono ampi, la cadenza
di questo pensiero come i passi di un Titano che cammina tra rocce
distanti su acque infinite.
Si trova una perfetta totalità, una estesa correlazione di parti
tra loro armoniche nella struttura di ogni Upanishad; ma il tutto
è trattato al modo di una mente che vede in uno sguardo messe di
verità e si arresta per estrarre solo la parola necessaria da un
silenzio compiuto.
Il ritmo ne verso o la cadenza della prosa scolpiscono l'idea e
l'espressione.
Le forme metriche delle Upanishad sono costituite da quattro
semiversi ciascuno chiaramente definito, versi che sono
generalmente completi e dotati di senso, semiversi che presentano
due pensieri o parti distinte di un pensiero che sono unite o si
completano reciprocamente, e la cadenza sonora segue un principio
corrispondente, ciascun passo conciso e marcato della chiarezza
del proprio intervallo, colmo di ritmi echeggianti che permangono
a lungo vibrare nell'ascolto interiore; ciascun passo è come
un'onda dell'infinito che porta in se stessa interi la voce e il
suono dell'oceano.
E' un genere di poesia, parola della visione, ritmo dello spirito,
che non è più stato scritto, ne prima ne dopo.
Il linguaggio figurato delle Upanishad si è in larga parte
sviluppato dal genere di linguaggio figurato dei Veda e sebbene
esso solitamente preferisca la svelata chiarezza di una immagine
direttamente illuminante, a volte esso usa gli stessi simboli in
un modo che è profondamente simile allo spirito e all'aspetto meno
tecnico del metodo di quel simbolismo più antico.
E' in larga misura questo elemento non più afferrabile dal nostro
modo di pensiero che ha sconcertato certi studiosi occidentali e
li ha fatti affermare che queste scritture sono una combinazione
delle più alte speculazioni filosofiche con i primi goffi
balbettii della mente bambina dell'umanità.
Le Upnaishad non rappresentano uno scostamento rivoluzionario
dalla mente vedica, dal suo temperamento e dalle sue idee
fondamentali, piuttosto una continuazione e uno sviluppo e in una
certa misura un ampliamento nel senso di una resa in aperta
espressione di tutto ciò che fu tenuto nascosto nel discorso
simbolico dei Veda come un mistero segreto.
Esse iniziano a raccogliere il linguaggio figurato e i simboli
rituali dei Veda e dei Brahmana e a trasformarli in modo da
esprimere un senso interiore e mistico che serve come una sorta di
punto di partenza psichico per la propria filosofia, più evoluta e
più puramente spirituale.
Esiste un grande numero di passaggi specialmente nelle Upanishad
in prosa che sono interamente di questo genere ed azione, in un
modo recondito, oscuro e persino incomprensibile per il pensiero
moderno, con il senso psichico di idee allora comuni nella mente
religiosa vedica, la distinzione tra i tre generi di Veda, i tre
mondi e altri soggetti simili; ma, conducendo come fanno nel
pensiero delle Upanishad a più profonde verità spirituali , questi
brani non possono essere scartati come infantili aberrazioni
dell'intelligenza privi di senso e di ogni rintracciabile rapporto
con il più alto pensiero nel quale essi culminano. Al contrario
troviamo che essi possiedono un significato sufficientemente
profondo quando riusciamo a penetrare il loro significato
simbolico.
Questo significato si mostra in una ascesa psicofisica a una
conoscenza psicospirituale per la quale noi useremmo oggi termini
più intellettuali, meno concreti e immaginativi, ma che è ancora
valida per coloro che praticano lo yoga e riscoprono i segreti del
nostro essere psicofisico e psicospirituale.
Passaggi tipici di questo genere di espressione peculiare di
verità psichice sono la spiegazione di Ajatashatru del sonno e dei
sogni o i brani della Prashna Upanishad sul principio vitale e le
sue azioni, o ancora quelli in cui l'idea vedica della lotta tra
dèi e demoni è ripresa e guadagna il suo significato spirituale e
le divinità vediche, più chiaramente che nel Rig o nel Sama Veda,
sono caratterizzate e invocate per la loro funzione interiore e
per il loro potere spirituale.
*
Le
Upanishad abbondano di passaggi che sono ad un tempo poesia e
filosofia spirituale, di chiarezza e bellezza assolute, ma nessuna
traduzione priva delle suggestioni e dei solenni e sottili e
luminosi echi di senso delle parole e dei ritmi originali, può
dare alcuna idea del loro potere e della loro perfezione.
In altri le più sottili verità psicologiche e filosofiche sono
espresse in modo completamente sufficiente senza mancare di una
perfetta bellezza nell'espressione poetica e sempre in modo tale
da vivere nella mente e nell'anima e non essere semplicemente
offerte alla comprensione intelligente.
C'è in alcune delle Upanishad in prosa un altro elemento di vivido
racconto e tradizione che ci restituisce, sebbene solo in brevi
fugaci, il quadro di quella animazione e di quel movimento di
ricerca spirituale e di passione verso la più alta conoscenza che
hanno reso possibili le Upanishad.
Le scene del mondo antico rivivono davanti a noi in alcune pagine,
i saggi che siedono nei boschi pronti ad ammaestrare chi si
presenta, prìncipi e dotti Bramini e grandi proprietari terrieri
alla ricerca della conoscenza, il figlio del re nel suo carro e il
figlio illegittimo della serva, ricercando ogni uomo che avrebbe
potuto portare in se stesso l'idea della luce e la parola della
rivelazione, le tipiche figure simboliche e personalità, Janaka e
la sottile mente di Ajatashatru, Raikwa del carro, Yoinavalka
soldato della verità, calmo ed ironico, che prende con entrambe le
mani senza alcun attaccamento i beni del mondo e le ricchezze
spirituali e lascia alla fine tutti i suoi averi per peregrinare
come un asceta senza casa, Krishna figlio di Devaki che udì una
sola parola del Rishi Gora e conobbe immediatamente
l'Eterno, gli Ashram, le corti di re che furono anche
ricercatori e conoscitori spirituali, le grandi assemblee
sacrificali dove i saggi si incontravano e confrontavano la loro
conoscenza.
Così noi vediamo come nacque l'anima dell'India e come scorse
questo grande canto delle origini nel quale essa si levò in volo
dalla terra verso i supremi cieli dello spirito.
I Veda e le Upanishad non sono solo la bastevole sorgente della
filosofia e della religione indiana, ma di tutta l'arte e la
letteratura indiana.
Fu l'anima, il temperamento, lo spirito ideale in essi formato ed
espresso che costruì in seguito le grandi filosofie, edificò la
struttura del Dharma, testimoniò la sua eroica gioventù
nel Mahabharata e nel Ramayana, si intellettualizzò
infaticabilmente nell'epoca classica della sua maturità, produsse
così tante intuizioni originali nella scienza, creò un così ricco
fervore di esperienze estetiche, vitali e sensibili, rinnovò la
sua essenza spirituale e psichica nei Tantra e nei Purana, si
gettò nella magnificenza e nella bellezza delle linee e del
colore, scolpì e fuse il suo pensiero e la sua visione nelle
pietre e nel bronzo, si riversò in nuovi canali di autoespressione
nei linguaggi successivi e ora dopo una lunga eclissi riemerge
sempre identico nella diversità e pronto per nuova vita e nuova
creazione.
*
La fissata concezione
fondamentale del Vedanta è che là esiste in qualche luogo - e non
potremmo non trovarla - accessibile all'esperienza o
all'autorivelazione anche se negata alla ricerca puramente
intellettuale, una verità sola onnicomprensiva e universale nella
luce della quale l'intera esistenza si trova rivelata e chiarita
nella sua natura e nel suo fine.
Questa esistenza universale, con tutta la moltitudine della sua
realtà e la diversità delle sue forze, è una in sostanza ed
origine; ed esiste una quantità non conosciuta, X o Brahman, alla
quale essa può venire ridotta, perché da lui è originata e in lui
e attraverso di lui persiste.
Questa quantità non conosciuta è chiamata Brahman.
Ma intanto i veggenti dell'antica India avevano completato, nei
loro esperimenti e sforzi di disciplina spirituale e di
conquista del corpo, una scoperta che nella sua importanza per il
futuro della conoscenza umana oscura le intuizioni di Newton e
Galileo; persino la scoperta del metodo induttivo e sperimentale
nella Scienza non è risultato così fondamentale; perché essi
penetrarono sino ai suoi processi ultimi il metodo dello yoga e
attraverso il metodo dello yoga si elevarono al culmine di una
triplice realizzazione.
Essi compresero dapprima come una realtà l'esistenza, aldisotto
del flusso e della molteplicità delle cose, di quella suprema
Unità e immutabile Stabilità che era stata sino ad allora
ipotizzata solo come una teoria necessaria, una inevitabile
generalizzazione.
Giunsero a comprendere che Quello è la sola realtà e tutti i
fenomeni non sono che le sue apparenze e le sue sembianze, che
Quello è il vero Sé di tutte le cose e i fenomeni non sono che le
sue vesti e i suoi ornamenti.
Essi impararono che Quello è assoluto e trascendente, perciò
eterno, immutabile, indiminuibile e indivisibile.
E guardando allo sviluppo passato del pensiero, compresero che
questa era anche la meta alla quale li avrebbe condotti il puro
ragionamento intellettuale.
Poichè ciò che è nato nel tempo deve nascere e morire; ma l'Unità
e la Stabilità dell'universo sono eterne e devono perciò
trascendere il Tempo.
Ciò che è nello Spazio deve crescere e diminuire, possedere parti
e relazioni, ma l'Unità e la Stabilità dell'Universo non sono
diminuibili, non sono aumentabili, sono indipendenti dalla
modificazione delle proprie parti e non toccate dal mutarsi delle
loro relazioni, e devono perciò trascendere lo Spazio; e se
trascendono lo Spazio non possono possedere parti; poiché lo
spazio è la condivisione della divisibilità materiale; la
divisibilità deve perciò essere, come la morte, un'apparenza e non
una realtà.
Infine ciò che è soggetto alla Casualità è necessariamente
soggetto al Cambiamento; ma l'Unità e la Stabilità dell'Universo
sono immutabili, identiche a ciò che furono negli eoni trascorsi e
a ciò che saranno negli eoni futuri e devono perciò trascendere la
Casualità.
Questa fu dunque la prima realizzazione ottenuta attraverso lo
Yoga, nityonityanam, l'Eterno Uno nella moltitudine
transitoria.
Allo stesso tempo essi compresero una verità interiore - una
verità sorprendente; compresero che il Sé trascendente e assoluto
dell'Universo costituiva anche il Sé degli esseri viventi; anche
il Sé dell'uomo, l'essere supremo tra quelli che abitano il piano
materiale sulla terra.
Il Purusha, l' Io conscio nell'uomo che aveva sconcertato
i Sankhyas, si è rivelato nella sua realtà ultima esattamente
identico a Prakriti, la sorgente apparentemente non
conscia della realtà, la non-coscienza di Prakriti, come
molto altro, si è dimostrata un'apparenza, non una realtà, perché
dietro ogni forma inanimata una intelligenza conscia all'opera è,
agli occhi dello yogi, luminosamente autoevidente.
Questa fu dunque la seconda realizzazione ottenuta attraverso lo
Yoga, cetanascetananam, la Coscienza Una nella moltitudine
delle Coscienze.
Infine alla base di queste due realizzazioni se ne trova una
terza, la più importante per la nostra umanità, cioè che il Sé
trascendente in ogni uomo è così completo perché esattamente
identico al Sé trascendente dell'Universo; perché il Trascendente
è indivisibile e il senso dell'individualità separata non è che
una delle apparenze fondamentali dalle quali la manifestazione
dell'esistenza fenomenica perpetuamente dipende.
In questo modo l'Assoluto, che sarebbe altrimenti aldilà di ogni
conoscenza, diventa conoscibile; e l'uomo che conosce il suo
intero Sé conosce l'intero Universo.
Questa stupenda verità è per noi rinchiusa nelle due famose
formule del Vedanta, "so ham", Egli ed io, e "aham brahma asmi",
io sono il Brahman, l'Eterno.
Basata su queste quattro grandi verità, nytonityanam, cetanascetanam,
so ham, aham brahma asmi, come su quattro possenti
pilastri la suprema filosofia delle Upanishad ha eretto il suo
fronte tra le più lontane stelle.