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I Veda e le Upanishad sono i testi fondamentali della filosofia indiana classica, da cui prende origine sia la religione Vedica che l'odierna religione Hindu
1. La Rgvedasamhita
I Veda sono i più antichi
documenti riguardanti lo Spirito umano, e probabilmente anche i più
antichi testi riguardanti quella che è stata definita la Scienza
Sacra.
La parola Veda significa "Conoscere" e letteralmente sta a indicare
"ciò che è stato visto, dai Saggi" (Rsi), vengono infatti
definiti Sruti, oil ritmo dell'infinito udito dall'anima. Le
parole drsti e sruti, che sono espressioni vediche,
indicano come la conoscenza vedica non sia oggetto di dimostrazione
logica, ma di penetrazione intuitiva. L'anima del poeta ode la
verità rivelata in una condizione ispirata, quando la mente è
innalzata al di sopra del ristretto piano della consapevolezza
discorsiva.
Sono composti da quattro raccolte: RgVeda, YajurVeda, SamaVeda,
AtharvaVeda.
La compilazione di questi testi viene fatta risalire quasi
sicuramente intorno al xv sec a.C.
Ogni Veda a sua volta è suddiviso in tre sezioni; i Mantra, i
Brahmana e gli Aranyaka, e le Upanisad.
I Mantra sono delle raccolte di Inni, chiamata anche
Samhita, e sono l'opera di poeti.
I Brahmana raccolgono i precetti e i doveri di carattere religioso,
e appartengono ai sacerdoti.
Le Upanisad rappresentano le meditazioni dei filosofi, e gli
Aranyaka fungevano da anello di congiunzione tra i due.
Vennero codificati dalla civiltà indoariana in base ai quattro stadi
coscienziali di vita, lo studente si avvicinava agli Inni, i rituali
dei Brahmana dovevano essere osservati dal capofamiglia, che pero'
una volta raggiunta la vecchiaia e quindi lo stadio di anacoreta si
ritirava nella foresta e doveva sostituirli con gli Aranyaka
iniziandosi alla contemplazione del culto sacrificale sui suoi
aspetti simbolico e spirituali.
L'ultimo stadio è quello del Samnyasin, il rinunciatario che viene
guidato dalla saggezza delle Upanisad
La Rgvedasamhita è sicuramente la prima raccolta e la più
importante.
Nel suo stato attuale, la raccolta comprende 10.462 strofe di lode
formanti con alcune ripetizioni,1017 inni (sukta: i ben detti), più
11 posteriormente aggiunti, per un totale di 153.836 parole.
Questa enorme massa di testi, si articola in dieci "cerchi" (i
Mandala), detti per convenienza libri, contenenti materiale
appannaggio di diverse famiglie (i kula) aventi per eponimo famosi
veggenti, talora di discendenza divina, i cui nomi sono stati
trasmessi in testa alla maggior parte degli inni, o come dato
tradizionale, o per accrescerne l' autorità.
Il corpus dello Rgveda viene poi completato con gli inni che
appartengono al periodo posteriore, i Brahmana Aranyaka che
accompagnano la Samhita in un ricco repertorio di notizie sui riti e
la loro eziologia, periodo questo in cui la convenzione e il
formalismo prendono il posto dello slancio poetico e intuitivo
tipico dei veggenti precedenti.
Comunque ogni Brahmana termina con un omonima Upanisad (testo
esoterico da apprendersi sedendo (sad) rispettosi in basso (upa)
presso (ni-) i piedi del maestro).frutto di una riflessione matura e
consapevole sul significato del mondo e del posto che l'uomo vi
occupa.
Sono vari e contrastanti le opinioni riguardo lo spirito degli inni
vedici. Secondo alcuni la Rgveda e' una raccolta di semplici e
spontanee preghiere, secondo altri i Veda sono la rappresentazione
di una prima forma di monoteismo.
Altri ancora considerano le divinità vediche come delle allegorie, degli attributi della Divinità Suprema.
Interessante e' l'opinione del
mistico filosofo indiano Aurobindo Gosh per il quale i Veda sono
praticamente delle dottrine mistico filosofiche segrete accessibili
solo agli iniziati.
Considera gli Dei degli inni come simboli di qualità psicologiche.
I Veda per Aurobindo sono una religione misterica similmente alle
dottrine orfiche ed eleusine dell'antica Grecia.
La concezione pero' fino ad oggi più adottata e' quella che già
allora si erano fatta i successivi compilatori dei Brahmana e delle
Upanisad, cioè che i Veda sono quegli Inni poetici a volte sublimi,
a volte misteriosi ed oscuri, che i veggenti vedici si deliziavano a
decantare, contemplando gli splendori della natura.
Il culto della natura, del sole, del cielo, delle stelle, ecc...e'
la prima forma della religione vedica, segnando il passaggio
dall'adorazione delle forze esteriori della natura alla religione
spirituale delle Upanisad.
Infatti nella prima fase di composizione gli inni erano frutto di
pura poesia, di vero slancio creativo, non si ha nessuna traccia di
quello che caratterizzerà l'epoca più tarda, il sacrificio. Qui
l'unica offerta fatta agli Dei era la preghiera.
Solo successivamente gli Inni vennero raggruppati e poi raccolti
sistematicamente delineando pian piano le idee riguardanti appunto
il Sacrificio.
Nello Rgveda compaiono Agni, Indra, Varuna, Soma, Mitra,
ecc....tutte divinità prodotte dalle intuizioni dei veggenti (Rsi)
che proclamarono divine tutte le bellezze e le forze della natura.
Sorprendente e' la quantità di divinità presenti, cosa che dona un
carattere politeistico agli Inni. Nonostante questo possiamo
individuare altri strati di pensiero, caratteristici del monoteismo
e infine del monismo.
1.Le divinità Vediche
L'ariano era intento a forgiare
gli dei a propria immagine, e nello Rg veda è chiaramente visibile
tutto il procedimento con la quale l'uomo li creò.
Nel Rgveda compare per la prima volta il termine "Deva".
Il solo, la luna, il cielo sono deva, perché "donano luce all'intero
creato", Deva e' colui che da all'uomo".
Il padre. la madre sono Deva, il sapiente che dona i suoi
insegnamenti e' Deva.
Deva significa luminoso, quindi Deva e' anche Dio in quanto Dio e'
Luce.
Ed è Dayus il termine generale che denotava le caratteristiche
comuni di tutti gli esseri risplendenti. Esso non è soltanto una
divinità indoiranica, ma anche indoeuropea; esiste in Grecia come
Zeus, in Italia come Iuppiter (Padre celeste) e tra le tribù
teutoniche come Tyr e Tyi.
Il numero degli dei crebbe e a molti altri venne dato il potere
creativo e il riconoscimento di "Colui che creò il cielo e la
terra".
Varuna, il dio del cielo, il dio più etico dei veda.
Il suo nome deriva dalla radice var che significa coprire,
circondare, legare, e corrisponde al greco Urano e all'Ahura Mazda
dell'Avesta.
Mitra è il suo fedele compagno. Varuna e Mitra, considerati insieme
esprimono il giorno e la notte.
Ma Varuna è soprattutto il
custode della legge cosmica il "Rta".
Egli veglia sul mondo, punisce i malfattori e perdona gli errori
di coloro che implorano la sua misericordia; il sole è il suo
occhio, il cielo è la sua veste e la tempesta il suo respiro. I
fiumi scorrono per suo ordine; il sole brilla, le stelle e la luna
seguono il suo corso per timore di lui.
Egli è onniscente, è il dio supremo che segue la legge eterna
del mondo morale che egli stesso ha stabilito.
Il Rta che letteralmente significa "il corso delle cose"
indica l'ordine cosmico, la legge in generale, e la giustizia,
corrisponde agli universali di Platone.
Egli è la Realtà permanente che rimane immutabile attraverso il
tumulto del cambiamento.
Il Rta esiste prima della manifestazione di tutti i fenomeni.
Qui fa la comparsa, per la prima volta, la tendenza verso una
concezione mistica di una realtà immutabile.
Altre divinità vediche sono i Marut, i venti; Surya il sole con il
suo doppione Savitr. Anche in lui è presente un elevato aspetto
morale, allorché viene implorato dal peccatore ravveduto che invoca
il suo perdono.
Il bellissimo inno a Gayatri è indirizzato a Surya sotto forma di
Savitr: " Meditiamo sull'adorabile splendore di Savitr; che egli
possa illuminare le nostre menti."
Surya sotto forma di Visnu "sostiene tutti i mondi".
Visnu è il dio dei tre grandi passi. Egli percorre la terra, il
cielo e i più alti mondi visibili ai mortali. Occupa una posizione
subordinata nel Rg veda anche se in seguito acquisterà una grande
importanza.
Pusan, altra divinità solare, protettore dei pastori, dei viandanti
e degli agricoltori.
I figli del cielo, i gemelli Asvin inseparabili signori della
luminosità.
Sono stati idealizzati contemplando i fenomeni crepuscolari
dell'alba e del tramonto.
Aditi, l'illimitato, il libero, padre dei vari aditya, tra cui
spiccano gli dei Varuna e Mitra.
"Aditi è il cielo, Aditi è la regione intermedia, Aditi è
padre madre e figlio, Aditi è tutti gli dei e le cinque
tribù, Aditi è tutto ciò che è nato, Aditi è tutto ciò che
nascerà"-
Segua Agni secondo per importanza soltanto ad Indra, a cui
vengono dedicati almeno 200 inni; Agni che come il sole ardente
accende ogni cosa che sia infiammabile. E' il fulmine che viene
dalle nuvole ed ha come vessillo il fumo.
Fumo che diventerà sacro in quanto anello di congiunzione tra la
terra e il cielo.
Agni assume così il ruolo di mediatore tra gli uomini e gli dei.
Divenne anche importante il culto di sostanze inebrianti ricavate da
piante, che diventarono per la popolazione piante per eccellenza, e
divenne un sacrificio sacro anche tutto il processo della loro
preparazione.
E' Soma, il dio dell'ispirazione, simile all'Haoma dell'Avesta
e al Dioniso greco, il dio dell'ebrezza, del vino e dell'uva.
Gli inni dedicati a Soma venivano cantati mentre il succo veniva
spremuto dalle piante: "Noi abbiamo bevuto il Soma, siamo
diventati immortali, siamo entrati nella luce, abbiamo conosciuto
gli dei". C'è poi Yama, il signore della morte, Parjanya, il
dio ariano delle nuvole che forse divento in seguito in Indra.
Indra lo Zeus indiano; probabilmente il dio più popolare dei Veda.
Dirige il fulmine e sconfigge l'oscurità da la luce e la vita,
vigore e freschezza.
Diventa col tempo lo spirito divino, il signore di tutto il mondo e
di tutte le creature, colui che ode e sente tutto, il vittorioso dio
delle battaglie degli ariani nelle lotte con il popolo indigeno.
I tempi cambiarono e gradatamente Indra prende il posto di Varuna
nella posizione più elevata del pantheon vedico.
Varuna il maestoso, il sereno, il giusto, non risponde più ai tempi
di azione di lotta e di conquista in cui vengono a trovarsi gli
ariani.
Segue Rudra, il dio guerriero, che nel Rg veda non occupa un posto
importante diventerà poi Siva il benefico, intorno al quale andrà
sviluppandosi tutta una tradizione.
In una fase più tarda torniamo ad uno sviluppo monoteistico del
pensiero ariano, ritorna il concetto di Unità già realizzato
nell'idea del Rta.
L'ariano vedico sentì profondamente il mistero di una realtà ultima
e l'ineguatezza delle concezioni prevalenti, interessati come erano
alla scoperta di un unico principio creativo dell'universo che fosse
inerente e imperituro.
Pian piano l'idealizzazione graduale del concetto di Dio così come
appare nel culto di Varuna tende a sostituire un antropomorfismo
politeistico con un monoteismo spirituale.
Gli innumerevoli dei furono considerati manifestazioni dello spirito
universale e governarono sotto la sovranità del Supremo.
Il Signore delle creature, il Supremo, diventa Visvakarman o
Prajapati, a volte descritto come il Dio dorato, Hiranyagarba,
l'unico signore di tutto ciò che esiste.
2. Il Sama veda
Il Sama veda segna il passaggio da
uno spirito puramente religioso ad un atmosfera dove la freddezza e
l'artificiosità formale diventano sempre più importanti.
Lo spirito della religione rimane sullo sfondo, mentre assumono
grande importanza le sue forme.
Viene sviluppata la liturgia e gli inni vengono presi dal Rg veda
per essere adattati all'attività sacrificale. Diventa così una
raccolta puramente liturgica, dove ogni preghiera viene abbinata ad
un rito particolare e tende al conseguimento di qualche vantaggio
materiale.
Essa e' destinata al "Sacerdote" "Udgatar", il cantore della
udgtha, parte centrale e più importante del canto, che con i
suoi accoliti gira attorno alla piattaforma sacrificale salmeggiando
alcuni inni con caratteristiche melodie cariche di potere sacro (i Saman
- "i Divinizzati" ), talora ricorrendo soltanto ad una voce ben
coltivata, talora accompagnandosi con uno strumento a corde simile
al liuto la "Vina".
La Samavedasamhita comprende 1549 strofe, queste quasi tutte
compaiono già nei precedenti "libri" dello Rgvedasamhita.
Probabilmente la sua compilazione risale all'intervallo di tempo che
va dalla composizione dello Rgveda e il periodo Brahmanico, epoca in
cui la religione ritualistica era ormai ben affermata.
La raccolta comporta due grandi partizioni:
1.
Il Purvarcika ( "prima serie di strofe")
585 inni di cui viene data solo la prima strofa, considerata la
matrice/ vulva (la Yoni) da cui nasce la melodia in cui
viene intonato il testo. Esso consta di quattro sezioni; le prime
tre prendono nome dagli dei Agni, Indra e Soma Pavamana, la quarta è
un Aranyaka e quindi spesso viene considerata una parte indipendente
Seguono come appendice "i canti da cantarsi nel villaggio" (Gramageyagana)
e i " canti da cantarsi in luogo selvaggio" (Aranyageyagana).
In questo caso i testi degli inni sono presentati completi e anche
il modo in cui vanno cantati.
Spesso tra i ritornelli e le esclamazioni ricorrono spesso le
sillabe sacre essenza stessa dei Mantra tra cui primeggia il
Pranava, ossia il suono Om.
2.
Lo Uttararcika (serie ulteriore di strofe)
che fornisce i testi di 400 inni di tre strofe. Come appendice si
hanno, specialmente correlati al sacrificio del Soma "i canti della
comprensione" e i canti di "ciò che va compreso" detti anche il
segreto.
Due grandi brahmana compaiono nel Samaveda; il Tandyamahabrahmana
da cui prende vita come suo supplemento il Chandogyabrahmana
i cui ultimi otto capitoli formano l'omonima Upanisad, tra le più
antiche e importanti dal punto di vista speculativo. Secondo
brahmana è il Jaiminyabrahmana da cui prende vita nella
quarta sezione la fomosa e criptica Kenopanisad .
3. Lo Yajurveda
Anche questo veda è destinato al "
sacerdote" adhvaryùn (" Sacrificatore" ), cui spetta il
compito di apprestare l'area e la piattaforma sacrificali, ove si
assiede con i suoi accoliti principali (il pratiprasthatàr, "
l'antepositore" del recipiente contenente il latte; il nestar,
il "conduttore" della moglie di chi offre il sacrificio; e lo unnetàr,
il versatore del "soma") e i secondari (lo samitàr,"
l'acquietatore" che uccide la vittima; il vaikarta, "
lo squartatore " di essa; e il camasadhvaryu, così detto
perché maneggia i camasa, recipienti quadrangolari
contenenti il Soma ), compiendo materialmente i diversi atti
sacrificali, di cui il principale è l'oblazione delle offerte nei
diversi fuochi a ciò deputati con l'accompagnamento delle formule
prescritte, cantillate su cinque note.
Anche lo Yajurveda è formato da cinque samhita.
Le formule sono raccolte a seconda dei riti in cui vanno impiegati;
i diversi riti del Soma; l'aspersione del Re, che ne consacra la
persona; l'offerta ai defunti; la costruzione della piattaforma
sacrificale; il sacrificio umano ecc..
Le ultime sei strofe tratte da una sezione della seconda samhita
formano la Isa, o Isovasyopanisad, punto di partenza
per i diversi edifici teologici del posteriore "Hinduismo".
4. L'Atharvaveda
Gli ariani vedici come abbiamo in
precedenza accennato, avanzando nell'India si imbatterono in tribù
non civilizzate, selvagge e barbare, dove vigeva il culto della
magia, della stregoneria.
Mentre il Rgveda deriva dal periodo di conflitto tra gli ariani
dalla pelle chiara e i Dasyu dalla carnagione scura, che la
mitologia indiana trasformerà nella lotta fra i Deva e i
Raksasa, l'Atharva veda parla del periodo in cui il conflitto è
risolto e le due razze stanno cercando di vivere in armonia tramite
scambi reciproci.
Da questo scambio, da questo compromesso, il pensiero ariano venne
inevitabilmente contaminato dalla cultura del posto, e l'Atharva
veda prende vita proprio dal tentativo di integrare la religione del
posto con il puro pensiero ariano. La forte contaminazione con
la magia, con la stregoneria fa si che venne considerato parte dei
Sacri Veda solamente in un secondo tempo e con notevoli difficoltà.
Nelle due "branche" a noi pervenute, quelle degli Saunakiya e quella
dei Paippalada, seguaci del saggio Pippalada, troviamo inni intrisi
di formule magiche, di scongiuri, malocchi, esorcismi che
pronunciati dalla persona da beneficiare o dallo stesso stregone
sono diretti a procurare la più grande varietà di fini desiderabili.
La religione vedica più pura cede il posto ad un infantile fiducia
nella stregoneria e nella magia, ed è lo stregone, colui che
tratta con gli spiriti, che viene ad assumere il ruolo
predominante.
Il mantra e la preghiera che nel Rgveda è uno strumento di
elevazione, qui è piuttosto usato come strumento di superstizione.
Nonostante gli inni dal contenuto magico rappresentano almeno
numericamente, la parte principale dell'intera raccolta, si trovano
anche inni di contenuto teosofico e cosmogonico con elementi in
comune con le Upanisad e i Brahmana.
Troviamo il culto del Tempo -Kala-, del desiderio - Kama
- del sostegno - Skambha-. Skambha è il principio supremo
chiamato anche Prajapati, Purusa, Brahman. Troviamo Rudra
divinizzato, il signore degli animali, anello di congiunzione tra le
religione vedica e il successivo culto di Siva.
La dottrina delle forze vitali che avrà molta importanza nella
successiva metafisica indiana, viene qui trattata per la prima
volta, Prana, salutato come il principio che dà vita alla
natura.
Si ricollegano inoltre all'Atharvaveda la Mundakopanisad, la
Prasnopanisad, e l'importantissima Manukyopanisad ,
l'Up. della Rana, cui argomento di dissertazione filosofica sono gli
stati di coscienza veglia, sogno e sonno profondo, più il quarto
trascendente che ad essi soggiace (Turiya).
Grande importanza riveste tuttavia l'Atharvaveda per l'etnologia e
la storia della religione perché esso ci offre un gran numero di
informazioni sulla vita quotidiana del mondo vedico e tardo vedico.
I Brahmana
I Brahmana formano la
seconda parte dei Veda. E' una letteratura molto vasta, di contenuto
quasi unicamente ritualistico: l'attenzione della casta sacerdotale,
dalla quale questi libri sono usciti, è tutta incentrata sul
sacrificio considerato il supremo fine.
I Brahmana principali sono l'Aitareyabrahmana e lo Satapathabrahmana..
Questa epoca è contraddistinta da grandi cambiamenti nel pensiero
religioso, cambiamenti che influenzeranno permanentemente la storia
successiva.
L'enfasi sul sacrificio, l'osservanza degli ordini sociali e gli asrama,
l'eternità dei Veda, la supremazia dei sacerdoti, appartengono tutti
a questo periodo.
Anche nel Pantheon vedico ci furono dei cambiamenti: lo
Satapathabramana fa di Visnu la personificazione dei sacrifici, Siva
fa la sua prima comparsa, specificatamente nel Kausitakibrahmana,
Rudra chiamato Girisa, diventa "il benefico", Prajapati, il
creatore del mondo diviene il dio Supremo identificato a
Visvakarman.
Brahmanaspati, il signore della preghiera, diventa il signore degli
inni e l'ordinatore dei riti.
Viene precisato il concetto di Brahman; nel Rgveda significa Inno o
preghiera rivolta a Dio. Prima rappresentava la forza soggettiva che
aiutava il veggente a comporre le preghiere, ora diventa l'oggetto
per cui si prega.
Possiamo dire che da causa della preghiera venne a significare il
potere del sacrificio, e dal momento che nei Brahmana l'intero
universo è considerato come prodotto del sacrificio, Brahman venne
a significare il principio creativo del mondo.
Quando giungiamo ai Brahmana, la filosofia assume un carattere
rigido e dottrinale.
I precedenti veggenti vedici che intendevano gli inni come frutto di
una condizione ispirata, di un intuizione dell'anima innalzata al di
sopra della mente, trasformano questa idea in quella di una
rivelazione infallibile; l'autorità divina ed eterna dei Veda viene
accettata come un dato di fatto.
Grazie a ciò la classe sacerdotale acquisì un potere sempre più
forte, e questo probabilmente ne determinò l'abbassamento del
livello morale. Nonostante questo si trovano tracce frequenti di un
alto senso morale e di un sentimento elevato.
L'antica idea vedica del Rta relativa all'ordine delle sfere
fisica e morali, viene trasformata nei Brahmana, nel concetto del Dharma
dove si riferisce specialmente all'ordine morale del mondo.
Per la prima volta sorge la concezione del dovere; la vita è una
serie di doveri e responsabilità e la premessa per una vita Armonica
è l'aderenza più stretta a queste regole.
L'uomo ha dei doveri verso gli Dei, verso i veggenti, verso i Manu,
ha dei doveri verso gli uomini e verso le creature inferiori, ed è
aderendo a questa concezione altamente etica l'ariano può vivere una
vita spirituale e religiosa.
In questo periodo viene formulato in maniera più precisa l'Asrama
Dharma ovvero gli "stadi di vita" a cui l'uomo ariano deve
attenersi per acquisire progressivamente il suo fine ultimo: la
Liberazione (Mukti, Moksa). La parola asrama deriva
dalla radice sanscrita sram- che significa "sforzarsi,
impegnarsi per (a) (raggiungere qualche cosa)"e prevede quattro
stadi:
- Brahmacarin o "studente religioso" che vive nella casa di un maestro, dalla cui viva voce apprendeva i testi sacri della rivelazione, imparando nel medesimo tempo l'obbedienza, il rispetto e il controllo di emozioni e sentimenti e praticando la castità.
- Grhastha o "colui che sta in casa" (capofamiglia) che deve espletare i doveri sociali e sacrificali menzionati nelle scritture. Il marito e il padre, che eseguiva puntualmente le abluzioni e i riti religiosi quotidiani e allo stesso tempo godeva dei legittimi piaceri di questo mondo.
- Vanaprastha "uno che dimora nelle selve"; " Dopo aver visto le proprie rughe e le proprie canizie e dopo aver conosciuto i figli dei propri figli" (Manu - smrti), cominciando a percepire la vanità dei beni terreni, l'uomo si ritirava da solo o in compagnia della moglie ai margini del villaggio dedito alla non violenza, alla meditazione ed alla ricerca interiore.
- Samnyasin l'asceta errabondo, privo di ogni possesso, che, nutrendosi soltanto di ciò che gli venisse spontaneamente offerto, viveva aspirando solamente all'unione con Dio.
Le quattro parti dei
Veda, gli Inni,i Brahmana, gli Aranyaka e le Upanisad corrispondono
ai quattro stadi di vita dell'ariano vedico.
L'istituzione degli ordini sociali non è l'invenzione di un clero
senza scrupoli, ma una naturale evoluzione condizionata dai tempi
che si consolidò nel periodo dei Brahmana. In principio non era che
un'istituzione sociale, e la sua flessibilità dell'originario
ordinamento di classe lasciò il posto alla rigidità della casta.
Nel più antico periodo vedico qualsiasi Ariano poteva diventare
sacerdote, e non c'era un ordine superiore all'altro,
sacerdoti, guerrieri e commercianti, tutti erano allo stesso
livello, ma l'esclusivismo nato dall'orgoglio diventa la base di un
sistema catastale verso la soppressione della libertà di pensiero
con un conseguente ritardo nel progresso della speculazione. Gli Sudra
cioè coloro che osavano ribellarsi e trasgredire le regole era dei
fuori casta e venivano esclusi dalle forme di religione più elevate.
Malgrado gli accenni a una religione e a un'etica più elevate, va
detto che, nel suo insieme, questa fu un epoca di fariseismo in cui
la preoccupazione maggiore era l'adempimento dei sacrifici e non la
perfezione della propria anima.
Era necessario riaffermare l'esperienza spirituale, il cui
signifivato principale era stato oscurato da un codice legislativo e
da una devozione convenzionale.
Questo compito viene intrapreso dalle Upanisad.
Attraverso quello che riflettono i materiali
Vedici, e non senza difficoltà è possibile ricostruire entro certi
limiti il tipo di società "Vedica".
Essa è articolata in unità etnico-politiche (jana), suddivise a loro
volta in diverse "popolazioni" (vis) a cui sono preposti dei
"capipopolo" (vispati), i cui membri appaiono nel ruolo idealizzato
di ricchi allevatori e coltivatori (vaisya) sempre intenti ad
offrire ai loro ospiti festini dove vengono consumate carni, anche
bovine, cotte nel carù, una grande caldaia utilizzata per cuocere le
vittime sacrificate per l'occassione, il tutto annaffiato da
idromele (madhu), o da un liquore "distillato" la sura.
A differenza degli autoctoni (i dasyu), presentati negli Inni come
alieni senza naso senza faccia, non umani, che vivono in cittadelle
fortificate, gli Arya si raggruppano in villaggi, i grama,
circondati da mura in terra battuta.
Le loro abitazioni finemente decorate vengono sempre erette su un
suolo consacrato da diversi riti.
Il più importante è quello dell'insediamento in scavi predisposti di
nove colonne che sosterranno poi la costruzione.
Il pilastro centrale il più importante, rappresenta l'asse, lo
skambha, l'albero che sorregge il Cielo, l'axis mundi, il legame tra
la terra e il cielo.
L'intima dimora dell'ariano e il villaggio circostante vengono a
rappresentare il centro del mondo, e diventano il luogo dove si
concentra tutto ciò che è puro, non contaminato, distinto quindi dal
mondo esterno.
La base della vita stessa dell'ariano è perciò determinata
dall'obbligo di mantenere alto e costante lo stato di purezza.
Tutto è puro, la bocca della sposa, la ciotola dove si mangia, la
terra battuta del pavimento, il letto, i propri figli, le vesti, il
cibo cotto,…Anche nel villaggio circondante la casa vige un certo
grado di purezza, quindi pura è la luce del sole, il vento, la
polvere alzata dal vento, gli alberi e la loro ombra , la rugiada e
l'acqua del pozzo è pura…....
Il mondo esterno, visto come boscaglia incolta, lo aranya, diventa
invece sede di tutto ciò che è alieno, tutto ciò che è ombra e
ostilità.
E' il mondo delle fiere e degli gnomi, dei fattucchieri, dei mostri
notturni, degli orchi affamati di prede umane, dei kukundha dai
vestiti di pelle che ballano ed urlano affemminati suoni sinistri,
dei Tangalva…dal naso appuntito, fatto di ombra, dei makaka..i
maleodoranti…ecc…
L'alto grado di purezza dell'ariano è mantenuto grazie ai riti che
controbilanciano tutti i fattori di contaminazione da cui appare
minacciato.
Tutte le forme di sozzura, tutte le sostanze uscite dal corpo,
sangue, sperma, grasso, midollo unghie cerume, lacrime, sudore,
vomito feti abortiti….si fa eccezione per il latte materno e gli
escrementi della vacca che uniti ad argilla e polveri varie venivano
usata sia come combustibile per cucinare che come sapone per la
pulizia.
Particolarmente impuro è il liquido mestruale, tanto che la donna
durante il suo periodo viene costretta ad appartarsi, nutrendosi in
disparte.
Addirittura chi viene a contatto con la donna tra il quinto e il
sedicesimo giorno dopo le regole è costretto ad una abluzione
completa invece del semplice lavaggio dei genitali, mani e piedi.
Da una nuova nascita vengono contaminati la madre, il padre anche se
in minor grado e tutta la casa stessa. Solamente dopo 10 giorni sia
la madre che lo sposo possono essere toccati dagli altri e solamente
dopo 20 giorni se è nato un maschio e 30 se invece è nata una
femmina possono di nuovo partecipare ai riti.
Le Upanisad
"Quando il sole è
tramontato,
quando la luna è tramontata,
quando il fuoco è spento,
e ogni parola tace,
il sé soltanto è luce a se stesso"
(Brhadaranyaka Up.)
Con le Upanisad arriviamo alla
parte finale dei Veda.
Definite "Veda - anta" cioè fine del veda, stanno ad
indicare l'essenza dell'insegnamento vedico.
La parola Upa-ni-sad precisamente significa " apprendere rispettosi
in basso" ai piedi del maestro l'istruzione. Istruzione tenuta
segreta e comunicata soltanto a chi viene iniziato, relativa
alle tecniche di meditazione, relativa a segreti particolari di
interpretazione del rito sacrificale ormai molto complesso e molto
ramificato, teorizzato nei Brahmana, e relativa anche agli Inni
raccolti ed ordinati a seconda delle esigenze appunto
dell'insegnamento.
Vengono generalmente riconosciute 108 Upanisad di cui circa dieci
sono le principali, le più antiche ed autorevoli, sulle quali il
grande Maestro Sankara ha scritto un suo commento.
Sono denominate Upanisad antiche, medie oppure vediche, ed
appartengono alle varie scuole che si rifanno alle Shamita
vediche. Fanno quindi parte della rivelazione, e vengono
datate a un periodo che va probabilmente dal 1000 a.C al 300a.C
Tutto il pensiero filosofico e religioso indiano posteriore, incluso
il Buddismo eterodosso, trova le sue radici nelle Upanisad, e per il
carattere distintivo dei loro contenuti sono considerate come una
classe di letteratura indipendente dagli Inni vedici e dai Brahmana.
Come abbiamo visto la semplice fede nelle divinità degli Inni fu
soppiantata dal formale sacerdozio dei Brahmana.
Ai pensatori delle Upanisad questo non basta più; viene spostata
l'attenzione sugli spunti monistici degli Inni, e il mondo interiore
il mondo dello spirito, diventa fonte di speculazione.
Le Upanisad realizzano quelle tendenza che già a tratti trovavamo
nelle precedenti scritture Vediche che va ad affermare un Principio
di Unità, e Comprensione.
Riconoscere uno spirito unico, onnipotente infinito ed eterno,
incomprensibile ed autoesistente_: il creatore, il preservatore e il
distruttore del Mondo.
Egli è la luce, signore e vita dell'universo, uno senza secondo, e
l'unico oggetto di culto e di adorazione.
"Quanti dei vi sono Yajnavalkya ? - Uno - egli disse.
Ora rispondi ad un'altra domanda. Agni, Vayu, Adity, Kala, Prana,
Anna, Brahma, Rudra, Visnu alcuni meditano su di uno, altri su di
un altro.
Quale di essi è il migliore per noi ?
Ed egli rispose : -Queste non sono che le principali
manifestazioni del Supremo immortale, incorporeo Brahman….Brahman
in verità è tutto questo, e si può meditare, adorare o anche
ignorare quelle che sono le sue manifestazioni-.
(Mait.Upanisad).
L'infinito visibile(oggettivo) e l'infinito invisibile
(soggettivo) sono riassorbiti nel tutto spirituale.
Il politeismo era armai troppo radicato nel pensiero indiano, da
poter essere sradicato, però pian piano molti dei vennero
subordinati all'Uno - Brahman -
Senza Brahman Agni non può bruciare un filo d'erba, Vayu non può
spazzare via un ciuffo di paglia.
Probabilmente si andò delineando un accordo tra la filosofia
idealistica delle Upanisad, e i dogmi di una teologia oramai
consolidata.
Nel Veda l'interesse è diretto all'immenso ordine e movimento della
natura. I dei rappresentano le forze cosmiche.
Nelle Upanisad, torniamo invece a sondare le profondità del mondo
interiore.
"L'autoesistente aprì le finestre dei sensi così che essi si
volsero verso l'esterno; perciò l'uomo guarda al di fuori e non
dentro se stesso; tuttavia, qualche saggio, desideroso
dell'immortalità, rivolgendo lo sguardo al suo interno, vide il se
entro se stesso."
Non abbiamo più bisogno di guardare il cielo per osservare la
luce risplendente, non dobbiamo più implorare i cosiddetti Dei ma
dobbiamo soltanto spostare l'attenzione all'interno di se, nel
centro del cuore, nel quale è l'apertura verso il passaggio
dell'intero universo, nel quale troviamo il vero Dio vivente,
l'unico che deve essere adorato l'Atman. Dietro la
mente, nel cuore dell'uomo dunque c'è la dimora di Dio.
L'Immortale sé interiore e il grande potere cosmico coincidono nella
medesima cosa.
Brahman è l'Atman e l'Atman è Brahman.
Sankara nella sua introduzione alla Tittiriya Up. afferma: "La
conoscenza del Brahman è chiamata Upanisad perché nel caso
di coloro che si dedicano ad essa i legami del concepimento, della
nascita, della vecchiaia ecc…vengono sciolti; o perché esso li
distrugge completamente; o perché esso conduce il discepolo molto
vicino al Brahman; o perché in essa è insita la divinità Suprema."