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Centro Yoga Anahata
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Sri Aurobindo è stato un grande maestro indiano contemporaneo, che fondò l'ashram di Pondicerry, nato a Calcutta nel 1872 e morto a Podicerry (India) nel 1950. Puoi trovare ulteriori informazioni su di lui all'indirizzo https://it.wikipedia.org/Sri_Aurobindo
I Veda sono la creazione
di un antica struttura mentale intuitiva e simbolica alla quale la
mente successiva dell'uomo, fortemente intellettualizzata e
governata da un lato dall'idea razionale e da concezioni astratte,
dall'altro dai fatti della vita e della materia accettati per come
essi si sono presentano ai sensi e all'intelligenza
senza ricercare in essi alcun significato divino o mistico,
abbandonandosi all'immaginazione come gioco della creatività
estetica piuttosto che come possibilità di apertura delle porte
della verità e confidando nei suoi suggerimenti solo quando essi
sono confermati dalla ragione o dall'esperienza fisica,
esclusivamente consapevole di intuizioni prudentemente
intellettualizzate e recalcitrante verso la maggior parte delle
altre, è cresciuta totalmente estranea.
Non è perciò sorprendente che i Veda siano diventati incomprensibili
alle nostre menti tranne che nel loro aspetto linguistico più
esteriore e conosciuti inoltre imperfettamente per l'ostacolo
costituito da una lingua antica e non pienamente compresa, e che si
siano fatte la più inadeguate interpretazioni per ridurre questa
grande creazione di una mente umane giovane e splendida a uno
scarabocchio pasticciato e mutilato, a un pot-pourri
incoerente di assurdità di un immaginazione primitiva tesa a
complicare ciò che altrimenti sarebbe l'assai semplice, uniforme e
comune testimonianza di una religione naturalistica che rispecchiava
solo e solo poteva servire i rozzi materialistici desideri di una
barbara mentalità di vita.
I Veda divennero poi, per l'idea scolastica
e ritualistica dei preti indù e dei Pandit, niente di più
che un libro di mitologia e di cerimonie sacrificali; gli studiosi
europei, ricercando in essi solo ciò che era di un qualche interesse
razionale - la storia, i miti e le nozioni religiose popolari di una
razza primitiva - hanno tuttavia fatto il torto peggiore ai
Veda e insistendo su una interpretazione totalmente esteriore li
hanno spogliati ancor di più del loro interesse spirituale e della
loro bellezza e grandezza poetica.
Ma così non era per i Rishi vedici o per i grandi
veggenti e pensatori che li seguirono e svilupparono dalle loro
intuizioni luminose e pregnanti una propria, meravigliosa struttura
di pensiero e parola costruita su una rivelazione spirituale e
un'esperienza senza precedenti.
I Veda furono per questi antichi veggenti il Mondo che scopriva la
Verità rivestendo di immagini e di simboli i significati mistici
della vita.
Fu una scoperta e uno svelarsi divini della potenza della parola,
della sua misteriosa capacità di rivelazione e di creazione, non la
parola dell'intelligenza logica, razionale o estetica, ma quella di
una ritmica espressione intuitiva e ispirata, il mantra.
Immagine e mito vennero liberamente usati, non come un
indulgere all'immaginazione ma come simboli e parabole viventi di
cose estremamente reali per chi le pronunciava e che non potevano
trovare altrimenti la loro forma espressiva più intima e originale,
e l'immaginazione stessa diventava l'officiante sacro di realtà più
grandi di quelle che incontrano e trattengono l'occhio e la mente
limitati dalle suggestioni esterne della vita e dell'esistenza
materiale.
Questa era la loro concezione del poeta sacro, una mente visitata da
qualche più alta luce e dalle sue forme in idea e parola, un
veggente e un uditore della Verità, kavayah satyastrutayah.
I poeti dei versi vedici non contemplavano la propria funzione come
è immaginata dagli studiosi moderni, essi non si consideravano una
sorta di stregoni compositori di inni e di formule magiche al
vertice di una rozza e barbara tribù, ma veggenti e pensatori, rsi
dhira.
Questi cantori furono convinti di possedere una alta verità
mistica e occulta, pretesero di essere i latori di un linguaggio
idoneo a una conoscenza divina, e parlarono esplicitamente delle
loro forme espressive come di parole segrete che dichiarano il
proprio significato pieno solo al veggente kavaye nivacanani
vacamsi. E per quelli che vennero dopo di loro i Veda furono
libri di conoscenza e proprio della conoscenza suprema, una
rivelazione, una grande espressione di eterna e impersonale verità
quale vista ed udita nell'esperienza interiore di pensatori ispirati
e semidivini.
Le più insignificanti circostanze delle cerimonie sacrificali per le
quali gli inni furono scritti sostenevano un potere significante
simbolico e psicologico, come era ben noto agli autori degli antichi
Brahmana.
I versi sacri, ciascuno in se stesso tenuto ad essere pieno di un
significato divino, furono intesi dai pensatori delle Upanishad come
le profonde e pregnanti parole originarie delle verità che esse
cercavano, e la più alta legittimazione che poterono dare alle loro
espressioni sublimi fu una citazione dei loro predecessori con la
formula tad esa rcabhyukya, " questa è la parola che fu
pronunciata nel Rig-Veda"….
Ma il semplice buon senso dovrebbe dirci che coloro che furono così
vicini, in tutti i sensi, ai poeti originali, dovevano possedere una
migliore possibilità di fare propria almeno la verità essenziale
sulla questione e ci suggerisce la forte probabilità che i Veda
furono realmente ciò che pretendono di essere, la ricerca verso una
conoscenza mistica, la prima forma del costante tentativo della
mente indiana, al quale essa è sempre stata fedele, di guardare
aldilà delle apparenze del mondo fisico e, attraverso la propria
esperienza interiore, alla divinità, ai poteri, all'immanenza
dell'Uno del quale i saggi parlano in molti modi - la famosa frase
nel quale i Veda esprimono il loro più centrale segreto, ekam
sad vipra bahudha vadanti.
Il carattere più vero dei Veda può essere meglio compreso
esaminandoli in qualsiasi punto e interpretandoli chiaramente in
relazione alle loro frasi ed immagini….se li leggiamo per quello che
sono senza nessuna falsa traduzione in ciò che pensiamo dovrebbero
avere detto dei barbari primitivi, troveremo invece una poesia sacra
suprema e potente nelle sue parole e nelle sue immagini, sebbene in
altro genere di linguaggio e di fantasia creativa rispetto a quelli
che noi oggi prediligiamo e apprezziamo, profonda e sottile
nell'esperienza psicologica e stimolata da un'anima di visione ed
espressione profondamente partecipe.
I poeti dei Veda possedevano una mentalità diversa dalla nostra, il
loro uso delle immagini è di un genere peculiare e una antica
tendenza delle loro capacità visiva dona un profilo strano alle loro
espressioni.
Il fisico ed i mondi fisici furono ai loro occhi una manifestazione,
una duplice e varia, e tuttavia connessa e omogenea rappresentazione
di divinità cosmiche, la vita interiore ed esteriore dell'uomo una
divina relazione con gli dèi, e dietro ogni realtà esisteva il solo
Spirito od Essere del quale gli dèi erano nomi e personalità e
poteri.
Queste divinità furono ad un tempo signori della Natura fisica
e delle sue forme e dei suoi principi; i loro dèi, i loro corpi e
gli intimi poteri divini con le loro corrispondenti condizioni ed
energia sono innati nel nostro essere psichico perché essi sono i
poteri spirituali dell'universo, i guardiani della verità e
dell'immortalità, i figli dell'infinito e ciascuno di essi è anche
nella sua origine e nella sua realtà ultima lo Spirito supremo che
evidenzia uno dei suoi aspetti.
La vita dell'uomo fu per questi veggenti una realtà combinata di
verità e menzogna, un movimento del mortale all'immortale, da una
commistione di luce e di oscurità allo splendore di una Verità
divina la cui dimora è al di sopra, nell'Infinito ma che può essere
costruita nell'anima e nella vita dell'uomo, una battaglia tra i
figli della Luce e quelli della Notte, l'ottenimento di un tesoro,
della vera ricchezza, la ricompensa garantita dagli dèi all'uomo
guerriero, un'avventura ed un sacrificio; e di questa realtà essi
parlano all'interno di un sistema stabilito di immagini prese dalla
Natura e dalla circostante vita guerriera, pastorale e agricola
della gente ariana, centrato intorno al culto del Fuoco,
all'adorazione dei poteri viventi della Natura e alla cerimonia del
sacrificio.
Ogni dettaglio dell'esistenza profana e del sacrificio erano simboli
nella loro vita e nelle loro attività, nella loro poesia, non
simboli morti o metafore artificiali, ma viventi e potenti
suggestioni, controparti di realtà interiori. Ed essi usarono
inoltre nella loro espressione un corpo stabilito e tuttavia variato
di altre immagini e uno splendido tessuto di mito e parabola,
immagini che diventano parabole, parabole che diventano miti, miti
che restavano comunque immagini, e tuttavia tutte queste cose
costituivano per essi, in un modo che può essere compreso solo da
coloro che sono penetrati all'interno di un certo genere di
esperienze psichiche, realtà effettive.
Il fisico scioglieva le sue ombre negli splendori dello psichico, lo
psichico cresceva nella luce dello spirituale e non esisteva alcuna
linea netta di divisione in questi passaggi, ma una fusione naturale
e una compenetrazione delle loro suggestioni e dei loro colori.
E' evidente che una poesia di questo genere, composta da uomini con
questo genere di visioni o immaginazione, non può essere né
interpretata né giudicata dai modelli di una ragione e di un gusto
fedeli ai soli canoni dell'esistenza fisica. L'invocazione "Appari o
lampo di luce e vieni a noi !" evoca ad un tempo il fenomeno
dell'ascendere e del bagliore del potente fuoco sacrificale
sull'altare fisico e un corrispondente fenomeno psichico, la
manifestazione di una fiamma redentrice di un potere e una luce
divina dentro di noi.
Il….critico schernisce la sfrontata e audace e per lui mostruosa
immagine nella quale Indra figlio della terra e del cielo crea il
proprio padre e la propria madre; ma se ricordiamo che Indra è lo
spirito supremo in uno dei suoi aspetti eterni ed immortali,
creatore del cielo e della terra, divinità cosmica generata tra il
mondo fisico e quello mentale per ricostruire i loro poteri
nell'uomo, vedremo come l'immagine non sia solo una efficace ma una
vera e rivelatrice rappresentazione, e per la tecnica vedica poco
importa se fa violenza alla nostra immaginazione dal momento che
esprime una più grande realtà come nessuna altra avrebbe potuto con
la stessa consapevole attitudine e la stessa vivida forza poetica
Il Toro e la Vacca dei Veda, gli splendidi pastori del Sole celati
nella grotta sono creature abbastanza strane per la mente fisica, ma
non appartengono alla terra e nella loro sfera sono ad un tempo
immagini e realtà effettive piene di vita e di significato. E' in
questo modo che, dall'inizio alla fine dobbiamo comprendere e
riconoscere la poesia vedica secondo il proprio spirito, la propria
visione e la verità psichicamente naturale, anche se per noi
estranea e sovrannaturale, delle sue idee e delle sue immagini.
*
I poeti vedici sono
maestri della tecnica consumata, i loro ritmi sono scolpiti come
carri degli dèi e portati da grandi e divine ali di suono ad un
tempo concentrati e dilatati, ampi nel movimento e sottili nella
modulazione, il loro discorso è lirico per intensità ed epico per
elevazione, un'espressione di grande potere, pura e intrepida e
dallo splendido profilo, dall'effetto diretto e incisivo, pienamente
profusa di senso e di suggestione così che ogni singolo verso esiste
allo stesso tempo come cosa definita ed autonoma e come ampia
connessione tra ciò che è venuto prima e quanto lo segue.
Una sacra tradizione sacerdotale fedelmente
osservata diede loro sia forma che significato, ma questo
significato consisteva nelle più profonde esperienze psichiche e
spirituali delle quali l'anima dell'uomo è capace e raramente o mai
le forme degeneravano in convinzione, poiché ciò che dovevano
trasmettere era vissuto interiormente da ogni poeta e rinnovato in
espressione nella propria mente attraverso le sottigliezze e le
maestrie della visione individuale.
Le voci dei più grandi veggenti, Vishwamitra, Vamadeva, Dirghatamas,
e molti altri, toccano le più alte vette e latitudini di una poesia
mistica e sublime ed esistono poemi come l'"Inno della creazione"
che si innalzano in tremenda chiarezza alle sommità del pensiero
sulle quali si muovono costantemente, con maggior ampiezza di
respiro, le Upanishad.
La mente dell'antica India non sbagliò nel riallacciare tutta la
filosofia, la religione e le realtà essenziali della sua cultura a
questi poeti-veggenti, poiché la futura spiritualità del suo popolo
è la contenuta in nuce o nell'espressione originaria.
E' una grande cura a un corretto comprendere gli inni vedici come
forma di letteratura sacra che ci aiuta a vedere il primo sviluppo
non solo delle idee-guida che hanno governato la mente dell'India,
ma dei suoi tipi caratteristici di esperienza spirituale, della sua
forma mentale immaginativa, del suo temperamento creativo e del
genere di forme significanti con le quali essa ha costantemente
rappresentato il suo sguardo verso se stessa, la realtà, la vita e
l'universo.
Esiste in gran parte della letteratura lo stesso genere di
ispirazione e di espressione che vediamo nell'architettura, nella
pittura e nella scultura.
Il suo primo aspetto è un senso costante dell'infinito, del cosmico,
di realtà viste come parte della visione cosmica o da questa
influenzate, dirette a favore o contro l'ampiezza dell'uno e
dell'infinito; la sua seconda peculiarità è una tendenza a vedere e
interpretare la propria esperienza spirituale con una grande
ricchezza di immagini mutuate dal piano psichico interiore oppure in
immagini fisiche tramutate dall'azione di un significato,
un'impronta, una volontà di immagine psichici; e la sua terza
inclinazione è ad immaginare la vita terrestre spesso amplificata,
come nel Mahabarata e nel Ramayana, o altrimenti raffinata nelle
trasparenze di una più vasta atmosfera, accompagnata da un
significato più grande di quello terrestre o comunque presentata
sullo sfondo dei mondi spirituali e psichici e non solo nella
propria separata immagine.
Lo spirituale, l'infinito è vicino e reale e gli dèi sono reali e i
mondi ulteriori non tanto al di là quanto immanenti alla nostra
esistenza.
Veda, Upanishad, Tantra.
(Tratto da un inserto di "Domani" trimestrale di yoga filosofia e cultura in lingua italiana Sri Aurobindo Ashram - Pondicherry - India.)